Transito avanti e indietro laggiù dove la strada scende a picco per poi rialzarsi in una ripida salita fiancheggiata su entrambi i lati da olmi, molti di questi ricurvi, i quali si piegano fino all’inverosimile sulla TX Road.
Becca vive al civico 121 in una grande casa dipinta d’azzurro.
Sotto alla veranda vi sono due sedie a dondolo, una a destra e una a sinistra; un tavolino di legno grezzo nel centro. Una lampada malfunzionante appesa alla buona pende dall’alto gettando nelle ore notturne una luce fiacca sul lato sinistro; il destro perennemente in un chiaroscuro simile a quello di una chiesa quando non vi sono messe, matrimoni, funerali e funzioni varie.
Becca e’ una considerevole parte di me come pure la veranda e il granaio sul retro che nel buio sembra un gigantesco escavatore addormentato, o qualcosa del genere.
Vado da lei circa tre volte a settimana
(sempre di sera) lì dove la gente per bene non vuole andare dopo il tramonto.
Io e Becca siamo animali notturni.
Io e Becca siamo un tutt’uno.
Io e Becca amiamo le medesime cose.
Io e Becca non siamo innamorati ma poco ci manca nonostante l’abisso cronologico che ci “separa”.
Io e Becca parliamo per ore e tiriamo mattina. Arrivo coi fari dell’auto accesi e torno a casa coi fari spenti, quando il resto del paese si alza per la prima colazione.
Becca beve birra e Jim Beam: prima l’una e poi l’altro. Non poche volte entrambi insieme mescolando il tutto con uno stuzzicadenti o qualsiasi altra cosa sia a portata di mano lì sul tavolino.
Pigrizia allo stato puro ?
Non esattamente. E’ che affrontare i quattro gradini che portano in casa e’ uno sforzo indicibile per lei.
Le giornate di Becca sono pesanti e pericolose ma la nota positiva e’ che queste non iniziano mai prima del mezzogiorno.
Quando il paese ha le gambe sotto al tavolo, Becca raggiunge la stalla passando per il granaio.
Adempie alle sue mansioni con zelo.
Ha una pazienza infinita questa ragazza -penso- poiché il suo Baio, e’ noto a tutti in paese per la sua invincibile testardaggine.
Agli occhi degli altri; ma Becca sa bene come prendere questo stupendo animale. Ne possiede altri due: un pezzato avanti negli anni ma ancora valido e un brocco buono per la macellazione che Becca tratta più come un asino che un cavallo adoperandolo per i “lavori” più ingrati e riempiendolo di mazzate alla prima occasione.
Di solito per questa pratica si serve di un asse di legno che un tempo reggeva la cassetta della posta.
Ora che il gambo della cassetta della posta e’ in acciaio, quell’asse di legno le viene buona dunque per altro.
“Come mai così tardi ?”.
Le rispondo che un mio vicino mi ha trattenuto: problemi di idraulica.
Gli sono stato di aiuto ? No, perché di idraulica non ne capisco niente ma dal canto suo l’uomo non poteva saperlo e ha pensato bene di suonare alla mia porta.
Becca pesca una manciata di ghiaccio dal cestello (un anonimo secchio da muratore) e si riempie il bicchiere, poi versa il Jim Beam.
Io ho smesso con l’alcool nove anni fa ma non mi importa davvero se mi beve davanti.
Si accende una Marlboro Red e tira una profonda boccata.
L’aria notturna si fa sentire anche stando sotto alla veranda; per un mesetto ancora basterà un maglioncino leggero, poi si vedrà.
Le stagioni di questi tempi…
non sai mai come vestirti, e’ il pensiero che mi passa per la testa mentre le chiedo il permesso di entrare in casa per andare al bagno.
Mi fermo di fronte alla bacheca: uno scaffale lungo e forte ben inchiodato alla parete.
Lo faccio ogni volta (di fermarmi) a guardare le coppe, i trofei, le foto, le medaglie, gli stivali ricordo di giorni di gloria, le fibbie con incise data, città e tutto il resto.
Una testa di cervo sopra lo scaffale sembra essere stata messa lì a guardia dei successi di Becca (davvero tanti) ma proprio tanti per la sua età.
“Pensavo fossi caduto nel buco”.
-scusa, mi son fermato -dico- a guardare lo scaffale dei tuoi trionfi-
“Ancora, ma non ti stanchi mai ?!”.
Le rispondo con un secco: No !
Altro ghiaccio nel bicchiere.
Secondo giro di Jim Beam.
Mi chiede se conosco un film intitolato “The shout” con Susannah York.
Le dico che lo conosco ma non l’ho visto.
“Potremmo guardarlo” fa lei. “Si”.
-entriamo in casa, allora-
Finisce la frase con palese amarezza.
“Se solo il televisore funzionasse”.
Si lascia scappare un grugnito e accende un’altra sigaretta; getto un’occhiata al posacenere sul tavolino e ne conto già cinque.
Per un po’ restiamo in silenzio.
Entrambi fumiamo assorti nelle nostre più intime meditazioni.
-mi suoni qualcosa ?-
Le dico che avrei voglia di ascoltare un pezzo di D.A.C. magari “Longhaired redneck”.
Si alza e va in casa a recuperare la chitarra.
Mi metto comodo.
Inizia a pizzicare le corde ma dopo mezzo secondo si lascia sfuggire un: “Dannazione”.
-che c’è ?-
“Ho la mano mezzo scorticata”.
La rimpovero.
-perché non hai indossato i guanti ?-
Mi dice che semplicemente non ne aveva voglia e aggiunge:
“Mi sono allenata senza guanti, pace”.
Riprende da dove si era interrotta e mi suona (e canta) tutto il brano.
Ha una voce bellissima.
Soffia, sbuffa sulla mano ferita e la scrolla con vigore.
-a quando il prossimo rodeo ?-
“Sette mesi” pausa. “E tre giorni”.
Vorrei chiederle apertamente se si sente pronta ma non lo faccio.
E’ nata pronta ! (come si dice) e in più, ha coraggio da vendere.
Rivedo il tabellone: l’estate passata.
Il suo nome campeggia a lettere cubitali (lettere rosso rubino) al primo posto.
Il secondo e il terzo classificato appena sotto, sempre a lettere cubitali.
Risento l’aria infuocata d’agosto…
la folla in delirio.
Le trombe da stadio si sprecano.
I pagliacci da rodeo battono le mani (forte) appena dietro al cancello che porta nel “cerchio”.
Il cancello e’ verde:
scrostato, mostra lo smalto nudo sottostante di un accecante silver.
Becca abbandona la scena con la sella sulle spalle e una coppa sotto a un’ascella. Zoppica un poco.
Il toro viene spinto a viva forza nel rimorchio di un camion: tre cowboys per quella bestia tutta muscoli e rabbia.
“Ci sei ?”.
-certo-
“Mi sembri un po’ suonato stasera”.
Altra Marlboro Red.
No cara -penso- tutt’altro.
E ragionando su una frase che mi disse tempo addietro a Tucson, mi accendo una sigaretta.
“E’ la mia vita” pausa. “Una sfida e…”.
E ?!
Immagino volesse dire “e così via” o roba del genere.
Non conta poi tanto; e’ un persona incredibile con un talento incredibile…
e questo e’ un fatto.
Guardo l’orologio.
“Vuoi già andare via ?”.
Le rispondo -dovrei,si-
Giro la testa, lecco la punta del pollice e volto pagina.
Il calendario affisso alla parete e’ fermo al mese di maggio.
-sei rimasta un po’ indietro-
Scrolla la testa.
Altro Jim Beam.
“Pace”.
So cosa sta pensando o almeno credo.
Il mio pollice resta per una qualche ragione dov’e’.
Il calendario “Diesel” e’ affisso alla parete. Becca fuma di nuovo e io me ne sto lì con il pollice sul calendario.
Credo ma non ne sono sicuro: probabilmente stiamo entrambi pensando la medesima cosa.
Esistono ancora veri eroi in questo paese ? Non quei coglioni Marvel io sto parlando di “eroi” veri, di persone disposte a dare la vita per la bandiera. Ha un senso fermarsi con la mano sul cuore quando i rintocchi della Campana della Libertà ci rammentano che abbiamo non solo diritti ma anche doveri ?!
Che ne e’ stato -mi chiedo- dei patrioti con il coltello tra i denti che hanno “edificato” il Nuovo Mondo dando un significato speciale alla parola LIBERTÀ ?! (quella stessa della quale si parla nell’inno nazionale, e non solo) che ti fa gelare il sangue nelle vene ogni volta:
“…mia dolce terra della libertà, di te io canto” e così, parole simili…
E prima che il mio cervello abbia il tempo di pensare, dalla mia bocca esce
-sei mai stata a Philly ?-
Come mi avesse letto la mente mi risponde: “Per la campana ?”.
Annuisco.
“Guardami bene” fa lei. “Guarda”.
Scopre una spalla per mostrarmi la clavicola deformata.
“Secondo te ci sono stata ?”.
Certo, sei un eroe e una guerriera che darebbe la vita per la patria.
Lo penso, ma non glielo dico.
Annuisco di nuovo.
“Vai su Google” dice. “Voce cowboys”.
Ha ragione.
Una tradizione più americana della
NFL, neanche a dirlo.
Guardo i suoi stivali mica nuovi, mica di bellezza, mica per atteggiarsi.
Sono devastati e lerci come e’ giusto che sia (adesso che per l’ennesima volta) mi ha aperto gli occhi.
“Hey” fa lei. “Quante stelle conti nella nostra orgogliosa bandiera ?”.
L’occhio mi cade sulla bandiera confederata penzoloni a un angolo della veranda .
-conto stati che-
Finisce per me.
“Conti ogni stato…un cuore ogni stato, sulla bandiera a stelle e strisce”.
-si ma alle tue spalle e’ confederata-
Ancora una volta non finisco perché la sua voce cancella prepotentemente la mia ricacciandomi le parole in gola.
“Dove sono nata io ?”.
Adesso e’ tutto chiaro -penso- e penso a quanto sono stupido e a quanto poco so della terra in cui vivo.
Ancora una volta i suoi anni di giovane donna hanno fatto scuola.
-certo, ovvio, molto giusto-
Scrolla la testa e pesca altro ghiaccio.
Tintinna nel bicchiere con un tic tac insopportabile.
“Hey”. Dice, sbirciandomi per traverso.
-dimmi-
“Ti garantisco posti di lusso”.
-prima fila ?-
“Non sarebbe la prima volta”.
-assolutamente non la sarebbe, no-
Mi alzo e stiro la schiena poi mi chino su di lei per darle il bacio della buonanotte (sulla fronte) come sempre.
Mi trattiene con forza e mi sussurra all’orecchio parole che non avrei mai dimenticato.
“Mi hai scortata in tutti i rodei del paese…”.
-confermo, si-
“Vieni a Philadelphia con me”.
Non suona come una proposta; e’ un ordine, lo sa lei e lo so io.
-ma io ho già visto la campana- si
-l’ho udita- e -con la mano-
“Sul cuore”.
-esatto-
“Con la mano sul cuore”.
Ho annuito, poi ho aggiunto che eravamo fuori stagione e che la campana solo ogni…
E lei: “Per te va bene venerdì ?”.
estratto de
“Storie di vita” (2002) di Gianmarco Groppelli
Casa Editrice Centro culturale
“E. Manfredini” Tradizioni e Prospettive.
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