Archivio | gennaio, 2020

it may be that

24 Gen

La notte muta.
E’ ancora vivo il tuo sapore.
Cerco nel riflesso lattescente della luna una parola di conforto.
LEI ne ha viste di cose e sa tutto di tutti…o almeno questo e’ ciò che mi piace pensare.
Mi abbandono ai ricordi più dolci che possiedo e vi colgo sfumature mai vedute prima

– e’ gioia e dolore –
– passione e nostalgia –

IN QUESTA NOTTE INFINITA CHE MI PARLA DI TE, GIOVANNA.

estratto de “Del sale era il profumo” di Gianmarco Groppelli

Aprile 2013 – ristampa 2015

casa Editrice Vicolo del Pavone
via G. Bruno, 6 – 29121 Piacenza
Tel. 0523.322777 – Fax 0523.305436
http://www.vicolodelpavone.it
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Bossier City 1990

23 Gen

“Ho toccato il fondo più e più volte tastando con rabbia sublime il terreno limaccioso dell’inferno condensato in una anonima strada di periferia tappezzata di squallidi bar dove ho giocato alla vita e alla morte”.

Bossier City
marzo 1990

estratto de “Del sale era il profumo” di Gianmarco Groppelli

Aprile 2013 – ristampa 2015

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METALLICA ?

23 Gen

Avevo 21 anni e lei 15, o forse 16.
“Non ti spiace darle un passaggio su fino al lago, vero ?!” disse sua madre. “Non può camminare”.
Erano brava gente (i suoi) da tempo immemorabile i miei vicini di casa.
Risposi che non era un problema e non lo era, dicevo sul serio.
La Jeep sobbalzava, era come se ringhiasse e l’avesse con la sterrata che era un disastro, una catastrofe, neanche una strada a dirla tutta era un sentiero che arrampicava e piegava in spiacevoli curve cieche; in certi punti si stringeva talmente che potevi sentire i rami degli alberi che ghermivano le fiancate della Jeep.
Pioveva a dirotto e a quell’altezza c’era da battere i denti nonostante fosse estate piena ma lei, neanche una piega e guardava fuori dal finestrino.
Nei due anni nei quali non l’avevo veduta era sbocciata come un bel fiore, un fiore stupendo non bello, in altezza e…
e il suo mezzo profilo restava impresso nel finestrino e sempre guardava fuori.
Il suo corpo sussultava a ogni “passo”. Nonostante avessi ingranato le ridotte il terreno fradicio era una cosa impossibile e rendeva il tutto potenzialmente pericoloso.
Avevo una giovane vita di fianco e il pepe al culo: un lampo del colore del ciclamino serpeggiava all’orizzonte lacerando il cielo (una macchia nera) ed erano le tre e mezza del pomeriggio.
Indossavo il solito giubbetto militare smanicato che mio padre usava per andare a pesca, una camicia a quadri, stivali da centoventimilalire e il berretto verde oliva (tutto bisunto e logoro) con la bandiera confederata e una spilla di D.A.C. sull’ala (dalla parte sinistra) e fumavo.
Le chiesi se avesse sentito molto male.
Era una domanda stupida, di circostanza e imbarazzo, per certo verso.
Una domanda fatta per rompere il silenzio del temporale, anche se non era possibile immaginavo che lo fosse (possibile) fatto sta che mi disse di si.
“Un male atroce” pausa. “Il cavallo mi e’ caduto proprio sopra”.
Faceva un freddo del cazzo (in estate) e pioveva peggio di prima e la Jeep gridava “pietà” ma non potevamo fermarci lì, già che se avessimo incrociato un veicolo che scendeva (e Dio solo sa se c’erano) macchinate di turisti e carretti, trattori, cassonati del comune stipati di sassi o legno o entrambi e pale ed escavatori e tanta altra roba per il duro lavoro in estate anche se sembrava gennaio ma era estate ed avevo il berretto in testa e il giubbetto da pesca e una giovane vita di fianco e il pepe al culo: un temporale sulla testa e la Jeep in rivolta.
Un gesso griffato di firme impossibili da decifrare le arrivava appena sotto il ginocchio sinistro: sul medesimo ginocchio si intrecciavano fasce elastiche simili a cerotti bislunghi del colore del grano quando inizia a imbiondire.
E a costo di ripetermi diro’ che faceva un freddo del cazzo e pioveva a dirotto.
Tuoni come colpi di mortaio scuotevano la vallata ed era un eco tutt’intorno da farsela nei calzoni.
Lei? Sempre faccia al finestrino che sembrava a metà strada tra imbalsamata e iptnotizzata.
Indossava una felpa nera di un qualche gruppo cazzuto (roba da metallari) ma non chiedetemi chi fossero perché non me lo ricordo.
Ciò che viceversa non ho mai dimenticato sono le cosce nude punteggiate di pelle d’oca a un centimetro dal cambio (e dalla mia mano) che tenevo sulla corta delle ridotte e il suo mezzo profilo come uno stampo nel finestrino e fantasticavo potesse restate lì per sempre (lo stampo nel finestrino) orecchini compresi: grossi tondi tipo acchiappasogni piumati con tanto di giada nei bordi (roba indiana) da riserva – e solo lei sapeva dove li aveva pescati – immaginavo a una qualche bancarella a tema il giorno del quattro luglio di chissà quando, ma non glielo chiesi e spingevo la Jeep pregando si potesse arrivare tutti interi.
L’acqua si era accumulata nel centro infossato e andava a infilarsi sotto alla Jeep: era lorda di fango e infarcita di sassi più o meno grossi.
Avevo dunque un problema in più senza contare l’eventualita’ di ribaltare su un fianco sicché le curve incazzate e bagnate tendevano a buttarti fuori.
Un cartello recante il simbolo
“obbligo di catene” si mostrava dilaniato da un colpo di fucile.
Avanti cento metri una baita ed era cosa tutt’altro che incoraggiante.
Chi aveva casa di lassù era gente decisamente selvatica e ostile, pastori e mandriani di poche parole dal grilletto facile (hillbilly che non avevano nulla da perdere) gelosi dei loro spazi e dei loro pick up malamente parcheggiati per traverso che dovevi schivarne il culo perché tenevano le ruote posteriori sulla strada e il muso alla stalla …
e occhio a non mettere sotto un qualche cane altrimenti eri fottuto, e non perché ci tenessero ma perché erano strumenti di lavoro anche se pietosamente smagriti e incredibilmente incattiviti da digiuni e pedate, a volte sassate.
Ed era tempo di sgasare sul serio poiché due metri forse nemmeno ci separavano dal punto più ripido in assoluto.
Dovevo rampicare ma farlo in maniera adeguata come fossi stato sulla neve perché la strada non era più degna di questo nome: era una lingua vagabonda di fango e acqua e sassi a profusione e i denti delle ruote non servivano quasi a nulla ma se c’era una speranza di arrivare in cima, perdio ci sarei arrivato intero insieme a lei pure intera con le sue cosce nude punteggiate di pelle d’oca e la felpa dei vattelapesca (nera) col cappuccio, due misure la taglia sua (forse un XL) ma era la moda dei tempi anche se in Italia i calzoni dal cavallo basso dovevano ancora fare la loro porca comparsa, almeno dalle nostre parti.
Ed eccoci arrivati.
Famiglia raccolta sotto alla tettoia di lamiera fissata alla bell’e meglio tenuta pure alla bell’e meglio; intrichi di filo spinato che non mi spiegavo penzolavano di sotto la tettoia.
“Eccovi” un soffio. “Mamma mia”.
Eravamo ufficialmente “salvi”.
Lei sicuro; io solo in parte.
Per quale ragione?
Perché dovevo rifare il percorso di prima e in discesa sarebbe stato un incubo, chiaro come il sole.
In secondo luogo perché sapevo che avrei pensato per tutto il tempo a quel gesso che aveva mutilato la sua estate impedendole di ruzzare coi suoi amici per la piazza scoppiando petardi e canzonando i turisti a nome “gringo” e non ho mai capito perché lo facevano: ma i ragazzi sono strani e se hanno freddo fanno finta di non averlo, come lei.
Forse era per questo che si era fatta tutto il viaggio col viso al finestrino?
Chissene, il certo e’ che aveva delle gambe da volar via e un culo micidiale e questo e’ chiaro pure come il sole.
Altra cosa, aveva un fratello grosso e molesto che lavorava alla segheria Montini e girava (come tutti i suoi colleghi) con un grosso coltello dentato in tasca anche quando andava per il paese ed era meglio salutarlo e congedarsi. Aveva sempre le palle girate e la cosa più stupida al mondo era quella, superfluo dirlo, di farsi beccare a guardare il culo di sua sorella.
Ad ogni modo era sotto alla tettoia e mi salutava con la mano.
Ricambiavo il saluto e la guardavo per traverso dalla Jeep che si muoveva adagio, nel fango.
Reminiscenza? Si.
Di una certa estate con un tempo di merda e un miracolo sul sedile del passeggero.

estratto de “Del sale era il profumo” di Gianmarco Groppelli

Aprile 2013 – ristampa 2015

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guys in AL ❌

15 Gen

Nel residence non mancava proprio nulla: parcheggio, palestra, sala lettura, piscina coperta e piscina all’aperto, sauna, due campi da tennis, un cinema, quattro ristoranti-tavola calda e tre bar.
Ero quello più basso.
L’allegro.
Il depresso.
L’artista con i capelli a spazzola e gli occhi azzurri -pieni di greve qualcosa- dicevano e questi che lo dicevano vivevano gomito a gomito col sottoscritto e le sue stramberie.
A loro piacevano (le mie stramberie) e si raccoglievano tutt’intorno al bancone per ascoltare le mie patetiche dissertazioni sull’arte, l’amore, il cinema, la musica, la morte e la religione e quantunque fossi consapevole del fatto che i miei vaneggiamenti fossero germogliati dal troppo Jim Beam misto a birra nondimeno traevo una sorta di piacere crudele a sciorinare e a gettare in faccia a quella gente la mia “cultura” insanguinata, volgare e miserevole ma chissà come c’era sempre qualcuno a portarmi in palmo di mano più di altri per il solo fatto che in passato aveva letto di me su qualche rivista o giornale.
Recitavo la mia parte fino in fondo e lo facevo bene: le chiavi dell’auto sbattute sul bancone con il logo Mercedes bene in vista -cosa bevete- Alan, un altro giro per tutti e cazzate del genere.
Quanto detestavo quelle persone imbottite di letture con l’appartamento sopra e sotto di me, e di fianco che mi accerchiavano fino ad annientarmi in tutti i sensi e paradossalmente erano quelli coi quali argomentavo fino alle prime luci dell’alba quando le loro facce erano pallide e smorte e più smorte che mai ma si doveva andare al lavoro sicché andavano a radersi e io me ne andavo a letto.
Ho trascorso più tempo in quel bar che in seno alla mia famiglia (feste di Natale comprese) ma va bene così, e’ stato tanto tempo fa…
E dato che e’ passata per l’appunto parecchia acqua sotto i ponti magari uno si aspetta che gli offrano da bere specialmente se non ti vedono da tanto tempo come e’ nel caso.
Mi piace pensare che ciò dipenda dal fatto che HO SMESSO DI BERE, se non mi pagano da bere.
Quanto al residence e’ cambiato poco nulla, le siepi mi sembrano più alte e c’è una guardia giurata in più ma a parte questo non ho notato nulla sebbene passi di fronte al residence ogni mattina; ne ho nostalgia. Ho esaurito i fondi e dissertavo probabilmente al di sopra delle mie possibilità e ci siamo capiti.

NULLA E’ PER SEMPRE
AMEN – SOLDI DI MERDA

estratto de “Del sale era il profumo” di GianmarcoGroppelli

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Race Point Beach

11 Gen

Lontanissima linea.
Lontanissima linea celeste chi ti ha dipinto così?
Così perfettamente orizzontale.
Per virtù di quale mano sapiente ti mostri (orgogliosa) anche quest’oggi?!
Scintillante ritratto crepuscolare sei di già un coro d’anime liete mentre laggiù, di là da quella, l’afflosciarsi delle nuvole s’azzarda a coccolarti, oh mare!
Tacito e pensoso così.
E non un cenno: solo un respiro scivolato su i nostri piedi ancora una volta prima che la notte ci prenda per mano.

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wake the fuck up !

9 Gen

in tre giorni e due notti ho fatto furore al bar in fondo alla strada: timbravo il cartellino alle dieci di mattina e uscivo alle due di notte

il mondo girava bene:
avevo le tasche piene di soldi
ed ero un pupazzo di belle speranze con i capelli a spazzola corti sul capo e lunghi sul coppino come usava allora

e una sera così per caso venni inghiottito da un compleanno e vomitato poi dopo sempre dal medesimo compleanno ma andiamo con ordine perché non era un compleanno !

erano gli albori di una moda che sarebbe durata un decennio e tutti volevano il piumino azzurro: avevo il piumino azzurro e anche tante altre cose che i miei “amici” viceversa non avevano
e me ne stavo lì col mio drink, la barba da fare, l’accento del nord, i miei stivali da cowboy e questo piumino che chissà per quale ragione mi faceva più vecchio di quanto non mi sentissi già
(là in mezzo) ero fuori luogo come un dito nel culo in chiesa, una bestemmia in classe, un’amante gelosa e così me ne stavo col drink e il piumino, la cuffia in testa e gli stivali a penzoloni dallo sgabello come un cretino di due anni poiché il giorno in cui madre natura dispensava altezza e buon senso mi sa che stavo smaltendo una sbronza sotto a un qualche tavolo ma non lì, forse al bar Livide,anyway, il fatto sta che m’ero fermato al metro e settanta e nessuno avrebbe potuto farci un cazzo in cento e poi cento anni pertanto va bene così e se non va bene la facciamo andar bene uguale

nel bar erano tante figure chiassose
(ragazzi e ragazze) venti anni in meno di me agli angoli più intimi nel chiaroscuro d’una mezza candela d’occasione a raccontarsi la magia d’essere adolescenti

-brinda con noi, vecchio-

in teoria avrei voluto decapitare lo sbarbatello che mi aveva canzonato a quel modo senza tanti convenevoli ma in pratica non lo feci che già ci stavo ridendo sopra e alzavo il boccale al soffitto e non sapevo per quale ragione si stava brindando finché qualcuno non lo disse a voce alta

-io e Katia siamo ufficialmente fidanzati e siamo innamorati –

adesso avevo una ragione per alzare il boccale al soffitto per quanto non me ne fregasse un fico ne di Katia ne dell’altro che a presentarsi mica ci aveva pensato però del vecchio me lo ero buscato e nella mia testa ridevo di nuovo

che facce…
scintille negli occhi e sul viso, il colore del tempo che ancora doveva sbiadire

quel tipo di facce, pensavo, che chi ha veduto allo specchio nei bagni della scuola a tre giorni dalle vacanze…

ci sono cose che restano e questo e’ un fatto

era la fine di novembre: il piumino firmato, la cuffia in testa e gli stivali da cowboy

dissi: “per un futuro luminoso” o qualcosa del genere, forse “buona fortuna”

credo di aver detto “buona fortuna” ed era palese -se avevo detto così- e non mi ricordo se ho detto “buona fortuna” o “per un futuro luminoso” ma mettiamo che abbia detto “buona fortuna”, lo pensavo davvero ma non del tipo “che Dio vi aiuti” più che altro “il cielo vi benedica” e non ero ne invidioso ne “geloso” dei loro anni e anche questo e’ un fatto però cinque minuti dopo il brindisi arrancavo già nella neve alta una spanna e ad ogni passo affondavo fino alle ginocchia e così andavo con una sequela di bestemmie per la mia strada buia in tutti i sensi, lo stomaco arso da Gin e Jim Beam e i miei anni…
non più un giovanotto ed era palese anche il perché non fossi rimasto a festeggiare con loro

PERCHÉ SI E’ ADOLESCENTI UNA VOLTA SOLA NELLA VITA ed e’ un sogno ad occhi aperti destinato a finire ma non lo dissi ne a me stesso (forse) e tanto meno a loro…

chi cazzo ero per rompere l’incantesimo ?!

1989

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where U were born

8 Gen

Quando si e’ giovani si tira a campare ingoiando pane e fiducia, ci si abbuffa

Quando si e’ giovani si contano le lune aspettando un concerto

Si ascolta il silenzio senza rimpianti

Ci si rimboccano le maniche e si fanno progetti

Quando si e’ giovani si lascia che i giorni si ammassino alle spalle senza riguardo

Si hanno troppe domande e poca pazienza

Ci si apre a metà tenendosi sempre vicino alla riva, quella lì che si conosce, e che col primo vento caldo ti fa bruciare il cuore di gioia e di rabbia; una nave sulla quale si e’ messo tutto ciò che conta e che un giorno o l’altro (forse in una bottiglia) sarà restituito

Rockefeller Plaza
nr.45, 47-50 St
NYC, 1989

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Salem summer Inc.

6 Gen

Dello stancarmi su di te non ho ricordo alcuno, perché semmai dovesti ritornarmi agli occhi estate mia, ferocemente andrei cercandoti di dentro…pensando che al dì della tempesta segue sempre il bulbo di una luce soffocata; l’eco ruggente tutt’intorno

(acqua-chiesa-casa-tomba)

Rockefeller Plaza
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i wish i was 18 again (you’re right, George. B) RICORDI STUPENDI ♡♡

6 Gen

University of Alabama at Birmingham
1720 2nd Ave S, Birmingham, AL 35294, Stati Uniti
+1 205-934-4011
https://maps.app.goo.gl/BZPFPKXQgNZT3djr9

DsPcDoCinNews arteCineTv rubriche #1.166 E-23 di Gianmarco Groppelli dict. cinema 2019 00:33 “JOKER”

6 Gen

USA 2019
diretto da TODD PHILLIPS
gen: drama-fantasy
123 mincast: Joaquin Phoenix, Zazie Beezt, Frances Conroy, Brett Cullen, Glenn Fleshler, Bill Camp, Shea Whigham, Marc Maron, Douglas Hodge, Leigh Gill
sceneggiatura di Todd Phillips e Scott Silver
fotografia: Lawrence Sher

Premesso che NON e’ un sequel.

Arthur Fleck, aspirante comico impiegato presso una discutibile compagnia di cabaret abita insieme alla madre disabile in un anonimo e fatiscente palazzo nella estrema periferia di Gotham City.
Il ragazzo se la passa tutt’altro che bene; sbeffeggiato dai colleghi a causa del singolare stile di vita che conduce, la sua esistenza, e’ ulteriormente gravata da una rara malattia la quale gli provoca improvvisi e incontenibili singulti fra misto di risate e pianto tant’è che il giovane Arthur porta sempre con se un biglietto sul quale e’ descritta la sua malattia.
Gotham e’ una città difficile nella quale la maggior parte della gente stenta a sbarcare il lunario in maniera onesta.
Ne consegue un tasso di criminalità e micro criminalità molto elevato rispetto alle città satellite più o meno vicine.
Una banda di giovani teppisti e’ solo la punta di un iceberg di dimensioni titaniche in termini appunto di criminalità.
Il sipario si apre (tristemente) assai tristemente.
Arthur e’ preso dal suo tutt’altro che gratificante lavoro su i marciapiede della città. Regge un cartello pubblicitario quando un gruppo di ragazzini glielo strappa di mano.
Arthur si lancia all’inseguimento di questi ma quando si trova a doverli fronteggiare in un vicolo cieco, il giovane aspirante alla carriera di comico viene ovviamente sopraffatto.
Ferito nel corpo e nell’anima si trascina fino a casa ma tace su quanto accaduto per evitare un dispiacere all’anziana e malata madre. Da che abbia ricordo, Arthur si e’ sempre occupato di questa, senza riserve e/o aiuti esterni.
Purtroppo la condizione psichica del ragazzo va peggiorando nel tempo sicché gli attacchi di risate-pianto si fanno sempre più frequenti e violenti per questa ragione egli e’ affidato al dipartimento di igiene mentale della zona. Una associazione spartana, senza pretese e ovviamente a costo zero.
Questa associazione si avvale di una psicologa che con regolarità settimanale ascolta i sempre più deliranti pensieri di Arthur ormai in preda a manie di persecuzione, immagini di violenza e una rassegnata, totale, incondizionata sottomissione alle viltà che lo circondano.
L’associazione provvede all’erogazione dei farmaci prescritti ad Arthur finché un brutto giorno, combaciante con il licenziamento del ragazzo per il fatto di aver portato una pistola nel reparto pediatrico di un ospedale mentre era di turno per divertire i bambini malati con il suo vestito da clown e altre simpatiche buffonerie, la psicologa del dipartimento gli comunica che a causa del fatto della mancanza di fondi sono costretti a chiudere lasciando così il disperato Arthur nelle mani di Gotham City ormai ridotta in ginocchio da corruzione, crimine e droga.
Il giovane assalito e picchiato almeno altre tre volte dallo sfortunato incidente del vicolo cieco per la prima volta (in preda alla furia) usa la pistola regalatagli da un collega per difendersi dalla malavita. Le conseguenze saranno devastanti. Tre morti ammazzati per mano di Arthur nel sottobosco della metropolitana.
Da quell’episodio in avanti l’insofferenza del ragazzo ha ormai raggiunto livelli che definire come allarmanti davvero e’ riduttivo.
Il lungometraggio di Phillips e’ crudo nelle intenzioni e parla chiaro.
Senza pensarci due volte spara a zero su una società identificata nella decadente Gotham.
Una vera e propria dissertazione sull’infelice argomento di una società sempre meno compresa di calore e valori.
Una società descritta in maniera impeccabile.
Un messaggio facilmente interpretabile anche dal profano in termini di preparazione cinematografica poiché la fiammeggiante e iraconda fotografia dark mette in risalto il lato peggiore “dell’umanità”:
la totale assenza di misericordia e di qualsiasi altro sentimento che non sia egoistico, vergognoso, inaccettabile… delirante brama di potere. Partendo dagli uomini di politica corrotti fino ai più insignificanti gregari di una vera e propria armata di prepotenti.
Il gradino più infimo e basso mai mostrato fino ad oggi sul grande schermo.
Le aberrazioni più indicibili delle quali l’uomo sia capace condensate in 123 minuti di grande cinema.
Il capitolo più impietoso di un “best seller” siglato Todd Phillips.
Questo prodotto partorito con un zelo tanto lodevole quanto feroce può decisamente scioccare gli spettatori più sensibili anche se la violenza e’ ridotta quasi “ai minimi termini” e non coincide con lo spannung del film.
Tuttavia c’e’…
celata (entro ovvi limiti) e si acciambella come un serpente velenoso, si annida e prolifica, si spande come una pestilenza opprimente a tal punto da far rimpiangere il precedente “gemello”, di fatto un film per famiglie paragonato a il Joker di Phillips, sotto ogni aspetto.
Il virtuosismo visivo, la padronanza disarmante e totale con le quali il cineasta newyorchese dirige un Phoenix eccezionale, al top della forma, fa impallidire titoli che suonavano importati, e lo stesso vale per i grandi nomi, letteralmente sbriciolati da un attore, infatti, per questa sua interpretazione magistrale insignito del prestigioso riconoscimento de il Leone d’oro a Venezia 2019.
Il lungometraggio sanguinante e appassionato di Todd Phillips non e’ solo una critica ad una collettivita’ rivoltante ma anche all’industria cinematografica odierna capace di sfornare solamente quel genere di “film” molli, senza mordente e senza cervello, senza intenzione ne ambizione: puro e patetico cinema di intrattenimento per adolescenti che vanno al cinema con l’aspettativa di riempirsi gli occhi con gli effettacci visti e rivisti e (stra)visti …
computer grafica a profusione e se ne tornano tutti a casa contenti.
Chiunque si aspetti da questa incomiabile e coraggiosa opera di Phillips: muscoli, fracassone e inconcludenti scene di battaglia resterà deluso al mille per mille poiché come ogni grande film degno di questo nome, il dialogo, e’ la colonna portante.
La ragione che giustifica l’esistenza di questo prezioso lascito alla causa della 7a arte.
L’interpretazione di Phoenix riscatta una vita di noia e di pianto.
Non si era mai vista dai tempi de “Toro Scatenato” (Scorsese 1981) una così perfetta scelta dell’attore più che in simbiosi con il personaggio che gli e’ stato affidato.
Quì parliamo non di un ridicolo costume da blockbuster ma di una seconda pelle.
Phoenix non rappresenta l’Alter Ego di Joker; di fatto egli e’ Joker in tutto e per tutto (nel bene e nel male) e chi vuol capire capisca.
De Niro ? Stupendo nei panni di Murray Franklin (palese omaggio al Jerry Langford de “Re per una notte- The king of comedy”, Scorsese 1982)
Una amalgama di ingredienti che fanno un grande piatto potrebbe descrivere o quantomeno rendere una vaga idea di cosa sia il Joker di Phillips?
La risposta è no.Vedere per credere.
di Gianmarco Groppelli DsPcDoCinNews – 2019 00:33 dict. cinema – Giudizio: ☆☆☆☆☆